La fine di una relazione di convivenza, tanto più se coinvolge anche figli minori, è una delle fasi più critiche e difficili da dover affrontare nel corso della propria vita. Alla drammaticità del rapporto affettivo e personale che si incrina, infatti, si accompagnano spesso notevoli complicanze anche sotto il profilo economico, il quale, comunque, nella vita quotidiana di ciascuno assume un’importanza fondamentale o quasi.

Poter valutare in modo corretto quelli che saranno i futuri risvolti anche patrimoniali della separazione, quindi, diventa essenziale affrontare in modo consapevole questo frangente così delicato della vita familiare, anche per non correre il rischio – al momento di discutere eventuali accordi – di trattare condizioni che, nella realtà dei fatti, risultino poi insostenibili oppure irrealizzabili.

Sotto questo profilo, uno dei temi che si presentano con maggior frequenza è quello della casa coniugale acquistata con un mutuo formalmente cointestato a entrambi, ma il cui onere economico sia stato sostenuto in via esclusiva o prevalente da uno solo dei membri della coppia. Magari proprio da quello che, dopo la separazione, è costretto ad allontanarsi dall’abitazione familiare.

Molto spesso, infatti, per il partner che non ha contribuito al pagamento delle mensilità, si è posto il problema di ricevere dall’altro partner la richiesta di restituzione della quota di sua spettanza delle rate del prestito, richiesta spesso assolutamente insostenibile, soprattutto se il mutuo è stato acceso diversi anni prima.

Sul punto, la giurisprudenza delle Corti nazionali è stata spesso contraddittoria, nel senso che, in taluni casi, questo diritto alla “restituzione” del 50% delle rate del mutuo è stato riconosciuto al coniuge che l’ha pagato, mentre in altri no.

Recentemente, però, è intervenuta sul tema la Suprema Corte di Cassazione, la quale, con l’ordinanza n.5384 del 2023, ha posto fine al contrasto interpretativo sul tema, stabilendo che il pagamento in via esclusiva (o prevalente) delle rate del mutuo cointestato deve essere considerato come una modalità di adempimento degli obblighi di assistenza materiale e di contribuzione al soddisfacimento dei bisogni e degli interessi del nucleo familiare (previsti dall’art.143 cod. civ.), bilanciato dalle attività di cura e di accudimento svolte dall’altro coniuge, anche qualora e laddove quest’ultimo non goda di un reddito tale da poter partecipare in modo “diretto” al sostegno e alla gestione della famiglia sotto il profilo squisitamente economico.

In generale, quindi, si può ricavarne che non è rimborsabile tutto ciò che è stato versato in ragione di un progetto di vita familiare in comune, anche qualora tale progetto venga poi, purtroppo, a naufragare.

Su questi e tanti altri temi relativi al diritto di famiglia – in particolare separazioni, divorzi, rapporti di filiazione e riconoscimenti/disconoscimenti di paternità – lo Studio LFa presta quotidianamente il proprio supporto ai soggetti e alle coppie che ne hanno necessità, fornendo consulenza ed assistenza personalizzate su ogni caso specifico.